L'8 marzo si festeggia la Giornata internazionale dei diritti della donna, dedicata alla celebrazione dei risultati sociali, economici, culturali e politici raggiunti dalle donne in tutto il mondo. In questa occasione, si fanno inoltre più forti gli appelli per un'accelerazione verso la parità di genere.

Quest'anno, l'attenzione è puntata sul concetto di 'equità', ovvero sull'idea che ogni persona è diversa dalle altre e, per questa ragione, essere 'equi' significa fornire a ciascuno il particolare tipo di assistenza che necessita per esprimere il suo potenziale.

Le nostre ricerche della serie A Woman’s Place  dimostrano che una maggiore partecipazione femminile nel mondo del lavoro non solo è una prassi etica, ma è anche in grado di sostenere la crescita economia dei paesi sviluppati.

Nell'ambito di questa serie, abbiamo creato il Gender Equality Index (GEI, Indice di uguaglianza di genere), al fine di valutare il livello di uguaglianza di genere in 29 paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Leader e ritardatari

Non sorprende troppo che i paesi nordici, ovvero Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, continuino a registrare i punteggi GEI più alti. Si tratta, infatti, di paesi con una lunga storia di politiche progressiste e di maggiori opportunità per le donne (vedere Grafico 1).

Grafico 1: I Paesi nordici mantengono i punteggi più alti

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Fonte: abrdn, World Bank, OCSE, VDEM; dati aggiornati al 2023

Fanalino di coda rimangono Italia, Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone, anche in questo caso, senza grosse sorprese. Negli USA, le donne continuano ad avere permessi di maternità limitati, rispetto ad altri paesi, mentre in Giappone e Corea del Sud mancano opportunità di empowerment per le donne.

Il Covid ha rallentato i progressi

Dopo quasi tre anni di disagi economici e sociali provocati dalla pandemia, gli indici rilevano un rallentamento dei livelli di impiego delle donne in diverse economie.

Di seguito, due dei motivi:

  • La perdita del lavoro a causa del Covid ha interessato principalmente le donne. Durante le precedenti recessioni economiche, la perdita del lavoro ha colpito maggiormente gli uomini. Generalmente, si è trattato di rallentamenti trainati dai settori industriali, non dai servizi.

  • Durante la pandemia di Covid, invece, il tasso di disoccupazione femminile è rimasto più alto di quello maschile. Ciò è avvenuto perché i settori maggiormente colpiti dai lockdown sono stati quelli in cui la presenza femmine è maggiore.

  • Le donne sono state costrette a ridurre l'orario di lavoro o licenziarsi per prendersi cura della famiglia. Generalmente, le donne si fanno carico di una percentuale sproporzionatamente maggiore di responsabilità.

    Durante i primi periodi di lockdown, le ore lavorate dalle donne sono diminuite, in media, del 16,4% (contro il 14,9% degli uomini), per via della chiusura delle strutture di assistenza all'infanzia e della necessità, per le donne, di assistere anche i familiari adulti (vedere Grafico 2).

Grafico 2: Durante la prima ondata Covid, le donne hanno perso maggiori ore lavorative

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Source: OCSE; dati aggiornati al 2020

Conseguentemente, attualmente il tasso di partecipazione femminile al mondo del lavoro è inferiore ai livelli pre-pandemia.

Il livello di partecipazione femminile al mondo del lavoro è inferiore ai livelli pre-pandemia.

Una nota positiva

Non ci sono solo notizie negative. L'indice, infatti, mostra anche che:

  • Gli uomini trascorrono più tempo in attività di assistenza all'infanzia. Attualmente, molti uomini lavorano per parte della settimana da casa e si fanno maggiormente carico dell'assistenza ai figli.

    Non possiamo predire per quanto tempo ciò andrà avanti, ma, secondo alcune ricerche, dopo aver usufruito di un congedo parentale, la partecipazione degli uomini nelle attività di assistenza all'infanzia tenderà a rimanere più alta.

  • La maggior flessibilità lavorativa potrebbe favorire la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro. Un'organizzazione del lavoro più flessibile potrebbe aiutare le donne a rimanere al lavoro nonostante una divisione dei compiti iniqua.

    La maggiore flessibilità, tuttavia, potrebbe provocare ostacoli a promozioni e avanzamenti di carriera, oltre a minori attività di mentoring e formazione.

Considerazioni finali

La pandemia ci ha aiutato a comprendere maggiormente l'inuguaglianza strutturale che caratterizza le nostre economie e società. Si tratta di problematiche che è necessario affrontare a livello sistemico.

I congedi straordinari introdotti in via temporanea durante la pandemia di Covid, ad esempio, potrebbero diventare una misura permanente volta a favorire una distribuzione più equa delle responsabilità attualmente a carico delle donne.

Per aiutare le donne a rimanere al lavoro, inoltre, sarebbe utile semplificare l'accesso alle misure di assistenza e rendere il mercato del lavoro più flessibile.

La comprensione completa dei modi in cui la pandemia ha migliorato o peggiorato l'inuguaglianza del mercato del lavoro richiederà del tempo. L'indice GEI rappresenta uno strumento utile in tal senso.

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